Caracas
Viaggio a Caracas, Venezuela – Anno 1998
Devo raggiungere in aereo Puerto Santa Cruz, dove una barca a vela e il suo proprietario mi attendono. Parto da Milano per Caracas, la capitale del Venezuela, via Parigi, poi un volo interno mi porterà all’aeroporto vicino a Puerto Santa Cruz. Per motivi al momento inspiegabili l’aereo non attera a Caracas ma prosegue il volo a ovest di 500 Km. e atterra a Maracaibo. La hostess mi spiega che vi erano persone importanti che dovevano rientrare nella capitale dal fine settimana (pensai che la corruzione e la prepotenza dei politici qui è peggio che in Italia ) e mi preoccupai per la perdita del volo interno. A Caracas dovetti correre con lo zaino verso i voli interni ma per un minuto persi l’aereo. I cellulari erano agli inizi e il mio era inutilizzabile in sud America. Cercare un telefono e le monete locali per usarlo persi mezz’ora ed era notte. Dovevo avvertire il cliente che sarei arrivato col primo volo del mattino. Presi un taxi e dovetti fidarmi del taxista per portarmi in un albergo vicino all’aeroporto. Mi andò bene e dopo 20 minuti approdai nella hall poco illuminata di uno stanzone più simile ad una taverna popolare che ad un hotel da una stella. Un tizio con i gomiti appoggiati sul bancone beve birra con altri tre persone con facce non molto raccomandabili. Mi accettò dopo il pagamento di una notte e mi assicurò la sveglia per il mattino alle 04 perché il volo interno per Puerto La Cruz di domattina parte alle 06.
Carico in spalla il mio pesante zaino e salgo nella stanza, dove un rombo intenso mi stordisce: apro la finestra e vedo fissato all’esterno, vicinissimo, l’enorme condizionatore il cui rumore assordante mi terrà sveglio tutta la notte. Scendo nello stanzone a piano terra prima di sentire la chiamata dell’albergatore. E’ il primo contatto con il caldo afoso del clima venezuelano. Poi il primo impatto nella villetta del cliente di origine italiana: un giardinetto con piccola piscina e un grosso SUV mi accolgono nella facciata. Dietro la casa un lungo balcone al quale è ormeggiata una magnifica barca a vela di 14 metri con bandiera austriaca. Puerto la Cruz e una cittadina alla quale è annesso un villaggio comunicante col mare tramite una serie di canali navigabili. Il villaggio è recintato e due guardie armate sorvegliano l’entrata. La messa a punto della barca m’impegna per una settimana e cominciamo poi a stivare cibi e bevande. Nel supermercato di Puerto la Cruz noto che gli scaffali sono pieni di articoli per bellezza, creme, dentifrici, ecc., pochi tipi di surgelati e alimenti vari, grande quantità di patatine fritte. Ho saputo dal mio cliente che il Venezuela è al primo posto al mondo per consumo di prodotti di bellezza; mi spiega la corruzione di ogni ufficio burocratico che funziona solo con regali e mance.
Lui ha il conto corrente in dollari a Miami, la città americana più vicina al Venezuela e la corrispondenza con la sua banca era solo tramite corriere; la ragione? I postini rubano i francobolli !
Una settimana per mettere a punto la barca e poi partiamo verso le isole dei Caraibi. Non è la prima volta che porto barche ai Caraibi, ma partendo dal continente Sudamericano si hanno i famosi venti Alisei contrari alla nostra rotta. Molto più faticoso per una barca a vela e spesso bisogna usare il motore.
Dopo una sosta di una settimana arranchiamo a motore, sempre con vento e onda contro verso le altre Grenadine. Lunga tappa a Bequia, poi San. Vincent, S. Lucia, indi Martinica. Certo, durante le lunghe soste nelle isole, anche se il caldo è eccessivo, vale la pena riposarsi in certe baie che sono di una bellezza mozzafiato. L’armatore, stanco di vento contro, decide di interrompere il programma e tornare in Venezuela, sognando di avere finalmente onda e vento al lasco al ritorno – E allora l’Aliseo, maledetto, smette di soffiare, va in bonaccia. Soffia a solo 5 – 6 nodi. Pochi quando arrivano da poppa o dal lasco. Procediamo a motore, perché l’armatore, velista principiante, non vuol saperne dello spinnaker, teme la grande vela colorata che fa camminare la barca anche con poco vento in poppa. Così proseguiamo a motore fino a Grenada. Altra lunga tappa di una settimana in attesa dell’Aliseo, che alla fine sembra riprendere fiato: salpiamo e finalmente il motore riposa assieme ai nostri timpani. La rotta per il Venezuela passa nei pressi di un gruppo di isolette : Islas Los Testigos (i Testimoni), abitate solo da pescatori. E’ notte e secondo il portolano il faro non è sempre funzionante. Traccio la rotta passante a 5 miglia a est del piccolo arcipelago. Scorgiamo il faro circa 10 miglia avanti, un po’ alla mia destra . Bene, il faro funziona e ci indica che passiamo ad est delle isole, come da rotta iniziale; esiste nella zona delle Testigos una corrente molto forte e corre verso ovest e tenta di portarci contro le isolette. Orzo di altri 25° verso est dal gran lasco passiamo ad un’andatura di bolina larga-traverso. La barca acquista velocità e ci allontana da quel pericolo . Finalmente mi sento sicuro perché il faro è sorpassato. Correggo sulla carta la rotta e procediamo verso Trinidad, uno Stato Caraibico, un’isola di un milione e mezzo di abitanti, un poco fuori rotta ma che vale la pena di visitare. Dopo una mezz’ora vedo a prua, a poche miglia, un fila di piccole luci lampeggianti sicuramente una rete pesca lunga almeno 5 miglia, che attraversa la nostra rotta. Qualche imprecazione mi scappa, ma d’altronde i pescatori lavorano con le reti; e meno male che le segnalano con le luci !
Nuovo cambio di rotta per aggirare la lunga linea di luci che sembrano non finire mai. Navighiamo a vela un’altra oretta fuori rotta e finalmente sorpassiamo la catena di lucine stroboscopiche. Riprendo di nuovo la rotta, corretta naturalmente dopo aver avuto dal GPS il nuovo punto nave. Ma le sorprese non sono ancora finite e nel buio la barca, con le vele gonfie rallenta di colpo: come se una mano del dio Nettuno spingesse delicatamente la prua indietro fino a che la barca si blocca, mentre le vele continuano a spingere nel silenzio che ora diventa inquietante. Per un secondo penso ai mostri marini, come i navigatori dei secoli scorsi pieni di paure per leggende tramandate da membri di equipaggi superstiziosi; forse la stanchezza si fa sentire, ma poi la mente mi dice che siamo incappati in un’altra rete, questa volta non segnalata. Impreco contro i pescatori. E’ buio pesto: come uscire dalla rete ? Accendere il motore e forzare significa avere la rete attorno all’elica e di conseguenza bloccare il motore. Scendere sott’acqua al buio armato di coltello per liberare l’elica quando servirà il motore non è un’idea entusiasmante. Per un attimo mi sento un tonno preso in rete, ma mi ricordo che quella barca ha la deriva mobile e si può alzare anche la pala del timone. Agire sui comandi idraulici è questione di 3 minuti: la barca spinta dalle vele lentamente comincia a muoversi, poi sembra addirittura che faccia un piccolo balzo, uno strappo e subito riprende la sua corsa veloce verso Trinidad. Sono felice, anche se sento dalla radio, il VHF di bordo, urlare parolacce in spagnolo: è il pescatore che probabilmente è a poche miglia presso il capo della lunghissima rete e sicuramente non aveva luci nemmeno sulla sua barchetta. Si è accorto che la rete è stata danneggiata. Una fermata a Trinidad di due giorni. Fine della dura crociera.